domenica 20 novembre 2011

DA BERLUSCONI PAROLE DI COCCODRILLO

Berlusconi: governo fino al 2013
Sì a un'imposta simile all'Ici

Parla l'ex premier: «No alla patrimoniale
E Monti ha garantito che non si candiderà»

Presidente Berlusconi, che cosa ha provato nel vedere un altro uomo a Palazzo Chigi?
«Che da adesso in avanti quando piove il ladro non sarò più io».
Qual è il suo giudizio su Monti e sul nuovo governo?
«È composto da tecnici di elevata competenza. Questo non significa che avranno carta bianca su tutto: saremo attenti su ogni provvedimento che arriverà alle Camere. Abbiamo chiesto l'impegno del governo a farsi promotore in Europa della trasformazione della Bce in garante di ultima istanza dell'euro, come lo sono le banche centrali nei confronti del dollaro, della sterlina e dello yen. Senza questa decisione non solo l'euro è a rischio, ma tutti i Paesi europei prima o poi sperimenteranno sulla propria pelle gli effetti della speculazione. Abbiamo chiesto anche l'impegno a rivedere le norme Eba che soffocano le banche italiane. Diremo no a eventuali proposte di misure recessive, e appoggeremo tutte le iniziative per promuovere lo sviluppo».
Monti è destinato a restare in carica per il tempo necessario a completare le riforme chieste dall'Europa, o fino al termine della legislatura?
«Non amo fare previsioni, ma non pongo limiti temporali all'attività del nuovo governo. La sinistra reclama una discontinuità con il nostro. Noi difenderemo invece tutti gli elementi di continuità, a cominciare dalle riforme che abbiamo concordato con l'Europa. Monti non potrà non ascoltarci. Il Pdl è il primo partito in Parlamento e sarà anche un punto di riferimento insostituibile per questo governo».
Questo significa che Monti può arrivare al 2013?
«Monti deve arrivare al 2013. I provvedimenti che deve portare in aula non sono pochi, e con i tempi e le regole vigenti richiedono un periodo non brevissimo. Così si completano i cinque anni e poi ci si rivolge agli elettori. Certo, se Monti prenderà misure in contrasto con la linea dei partiti che lo sostengono, come per noi la patrimoniale, non potrà andare avanti; anche se, come gli ho detto, io non ho mai usato l'espressione "staccare la spina". Del resto, lei crederà mica che Passera abbia lasciato Banca Intesa, o l'avvocato Severino abbia rinunciato al suo studio, per restare in carica cinque mesi?».
Allora perché i giornali della sua famiglia o a lei vicini attaccano Monti ogni giorno?
«Non so come dirlo: non sono io a dettare la linea. Del resto, lei crede che in questi anni Il Giornale e Libero mi abbiano giovato o danneggiato?».
Non votereste la patrimoniale neppure se Monti lo considerasse necessario? E la reintroduzione dell'Ici sulla prima casa?
«Siamo contrari alla patrimoniale. Monti ha fatto intendere che porterà la tassazione degli immobili in linea con la media europea, mentre ora è al di sotto. È possibile che questo comporti l'introduzione di un'imposta simile all'Ici, da noi già prevista con il federalismo, ma completamente diversa rispetto alla precedente impostazione già nella nostra riforma. Dunque una continuità di linea con il nostro governo, con un probabile anticipo dei tempi rispetto al 2014 che noi avevamo previsto».
Silvio Berlusconi fra i banchi di Montecitorio (Eidon/Frustaci)Silvio Berlusconi fra i banchi di Montecitorio (Eidon/Frustaci)
La legge elettorale va modificata? Il referendum va evitato o va tenuto regolarmente?
«Questa materia è di competenza del Parlamento e non rientra nel programma di governo. Sulla legge elettorale c'è molta ipocrisia. Chi critica il Parlamento dei nominati finge di non sapere che se si tornasse ai collegi uninominali i candidati sarebbero indicati sempre dai partiti. In difesa della legge esistente, ricordo che la fine delle preferenze ha ridotto la corruzione. In ogni caso, non accetteremmo mai una legge elettorale che non garantisca il bipolarismo e la possibilità per l'elettore di scegliere la coalizione vincente, il premier e il programma. La mia entrata in politica ha cambiato la storia d'Italia, consegnandole una riforma fondamentale per garantire la governabilità: il bipolarismo e l'alternanza di governo. Non è un caso se i nostri governi sono stati tra i più longevi della storia d'Italia. Ora c'è chi vorrebbe tornare indietro; ma noi lo impediremo».
Il Pdl manterrà la sua coesione senza lei a Palazzo Chigi? Non teme una diaspora?
«Assolutamente no. Io lavorerò sia in Parlamento, per assicurare la governabilità e le buone leggi, sia nel partito, per prepararlo alle prossime elezioni e vincerle».
È sicuro di non ricandidarsi nel 2013? In tal caso, il successore verrà eletto attraverso primarie? Lei chi voterebbe?
«Confermo che il nostro candidato sarà scelto attraverso le primarie tra i nostri iscritti, che sono già un milione e 200 mila. Quanto al pronostico, ho la ragionevole convinzione che a vincere le primarie sarà Angelino Alfano, che ha tutte le qualità per essere un ottimo presidente del Consiglio».
Quali sono i suoi rapporti con Fini? È possibile una riconciliazione?
«Nell'ultimo anno ho avuto solo rapporti istituzionali, secondo le procedure, compresa la telefonata dopo le mie dimissioni. Il resto sono fantasie della stampa, che ogni giorno alimenta un teatrino lontano dalla realtà. La verità è che il deterioramento della nostra maggioranza è iniziato con il peccato originale di Fini: la sua fuoriuscita dal Pdl è stata una decisione che resterà scolpita in negativo nella storia politica dell'Italia. E che gli elettori moderati non dimenticheranno mai».
Ma Fini è stato cacciato.
«Fini non è stato cacciato. Con i suoi tre moschettieri gettava discredito sul governo, con effetti negativi rilevati da tutti i sondaggi. Ricordo una vignetta del vostro Giannelli. Fini con le braccia incrociate diceva: "Oggi Berlusconi non ha parlato, come faccio a contraddirlo?". Abbiamo cercato un chiarimento, definendo il suo modo di agire incompatibile, ma ai probiviri abbiamo deferito Bocchino, Granata e Briguglio, non lui. Sono loro ad aver deciso di andarsene».
Fini non sarà d'accordo. Non crede poi sia stata un errore la rottura del 2008 con Casini? Si potrà ricostruire un'alleanza di centrodestra alle prossime elezioni?
«La rottura non è stata determinata da noi. A Casini abbiamo offerto infinite volte di recuperare un rapporto con il centrodestra, in nome dei valori comuni e della comune appartenenza al Partito popolare europeo. Penso che in un clima politico meno avvelenato sia possibile ritrovare lo spazio per un dialogo che serva a riportare tutti i moderati sotto lo stesso tetto».
Casini chiederebbe un prezzo alto. Potreste arrivare a offrirgli la candidatura a Palazzo Chigi?
«Queste non sono certo cose che decido io. Siamo il partito che discute di più al mondo: ufficio di presidenza, direzione nazionale... Entro l'anno faremo i congressi comunali e provinciali, entro marzo il congresso nazionale. Detto questo, ci sono leader che si occupano dell'interesse generale, e ci sono politici di professione che badano alla loro carriera».
È vero che avete chiesto a Monti di rinunciare fin da ora a guidare uno schieramento elettorale?
«È vero. Abbiamo chiesto a lui e a tutti i suoi ministri di impegnarsi pubblicamente a non presentarsi come candidati alle prossime elezioni».
E loro cosa vi hanno risposto?
«Di sì. Non ho parlato con i singoli ministri. Ma Monti mi ha detto che, se il governo andrà avanti, è logico che lui non approfitterà della situazione per candidarsi. Un impegno assunto alla presenza del capo dello Stato».
Cos'è successo tra lei e Tremonti? Come sono oggi i vostri rapporti?
«Buoni, sul piano personale. Sul piano della politica economica abbiamo due visioni diverse. Tremonti è per il rigore. Io sono per il rigore coniugato con lo sviluppo».
Buoni i rapporti tra lei e Tremonti?
«Non ci ha visti venerdì alla Camera? Lui si è seduto sotto di me, abbiamo parlato e scherzato in continuazione. Tremonti è così, infila una battuta dopo l'altra. Poi ci mandiamo al diavolo quando esprimiamo due linee diverse».
Con la Lega è possibile una ricucitura? Bossi è ancora il leader o comunque l'interlocutore?
«Sono sicuro che manterremo il rapporto stretto che c'è sempre stato tra noi e la Lega. La Lega è un alleato solido e leale. E il Pdl è l'unico vero alleato su cui la Lega potrà contare anche in futuro».
Che impressione le fa stare in una maggioranza in cui ci sono anche i postcomunisti del Pd e Di Pietro? La base del Pdl capirà?
«Questa non è una maggioranza politica. È una maggioranza parlamentare imposta dall'emergenza. Non ci sarà alcuna confusione di identità tra noi e la sinistra, nessuna alleanza consociativa tra il Pdl e il Pd. Come il presidente della Repubblica ha auspicato dando l'incarico a Monti, "il confronto a tutto campo tra i diversi schieramenti riprenderà appena la parola tornerà ai cittadini per l'elezione di un nuovo Parlamento"».
Un governo composto da ministri che non sono passati attraverso il vaglio degli elettori rappresenta una sospensione della sovranità popolare?
«Mi sembra evidente. Sospendere non significa porre fine: è un'emergenza temporanea, che richiede un'assunzione di responsabilità generale nell'interesse dell'Italia. Per questo tutti i partiti dei due schieramenti, tranne la Lega, hanno fatto un passo indietro e affidato ai tecnici un compito non facile, nel tentativo di rispondere ai mercati. Eppure in questi giorni tutti hanno potuto constatare che lo spread è rimasto elevato anche dopo le mie dimissioni: evidentemente il nostro governo non aveva alcuna colpa. Questa è una crisi dell'euro, che dietro di sé non ha un prestatore-garante di ultima istanza, quali le banche centrali delle altre monete forti, come il dollaro e la sterlina; così come non ha una politica economica unica per l'eurozona. Dotarsi di questi strumenti è il compito dell'Europa: una battaglia che l'Italia dovrà intestarsi. Ma ci vorrà tempo. Intanto noi dobbiamo salvare il nostro Paese, operando tutti insieme».
Lei si è lamentato per i fischi della settimana scorsa. Ma in passato lei ha alimentato lo scontro, apostrofando duramente gli elettori del centrosinistra.
«Mi sono dimesso per un atto di responsabilità e di amore verso il mio Paese, senza che il nostro governo sia mai stato sfiduciato. Ma questo non è bastato a chi per anni ha fatto politica demonizzando l'avversario. Noi abbiamo uno stile opposto. Da liberali veri, preferiamo costruire invece che distruggere, confrontarci sui contenuti per il bene del Paese piuttosto che delegittimare chi la pensa diversamente da noi, amare invece che invidiare e odiare».
Presidente, lei è arrivato a chiamare gli elettori di sinistra «coglioni».
«Non è andata così. Quell'espressione non fu usata per ingiuriare chi non vota per me, ma in una riunione a porte chiuse con i commercianti, per dire che un benestante non avrebbe certo potuto votare per chi aumenta le tasse e governa contro i suoi interessi. Io ho avuto un'educazione religiosa, e mi hanno insegnato a non ingiuriare il prossimo».
Non crede di aver commesso errori in questi ultimi tempi? Ci sono cose che non rifarebbe?
«Chi fa, sbaglia. Solo chi non fa nulla non sbaglia mai. E certi errori, anche se fatti in buona fede, li scopri solo con il tempo. Un ottimista vede un'opportunità anche nelle difficoltà. E io resto sempre un ottimista. Il governo Monti può essere un'opportunità per realizzare quelle riforme liberali che erano nel nostro programma, e non siamo riusciti a portare a termine per le resistenze che abbiamo incontrato da parte di tutti gli schieramenti».
Non è stato un errore il suo stile di vita?
«Ma quelle sono falsità, in cui sono caduti i giornali stranieri. Qui ora sembra che noi in tre anni e mezzo non abbiamo fatto nulla. Non è affatto così, a cominciare dalla politica estera. Mi hanno rovinato l'immagine con cose assolutamente non vere».
Come «assolutamente non vere»? Non è stato forse un errore dare confidenza a personaggi come Tarantini e Lavitola?
«Io non ho fatto niente di male. Tarantini veniva a cena da me. Abbiamo fatto diciassette cene in tutto. Lui aveva con sé belle ragazze, ma io non sapevo che venissero pagate, credevo che lui fosse un playboy, arrivava con la Arcuri... Lavitola era il direttore di un giornale storico come l'Avanti. Si proponeva come candidato alle elezioni. Non sapevo si inventasse un sacco di cose. Quando ho visto quei telefonini panamensi mi sono rifiutato di usarli, ho detto che queste cose le fa la malavita organizzata. E non ho più preso le sue telefonate. L'ultima volta, alle 11 e mezza di sera, il mio maggiordomo mi ha chiesto per cortesia di parlargli, visto che aveva chiamato venti volte. Ma nelle mie telefonate mantengo sempre la compostezza».
Non sempre. Una volta ha definito l'Italia «Paese di merda».
«Perché, lei al telefono non usa mai un po' di slang? Io amo profondamente l'Italia. Ma certo non stiamo attraversando un momento felice. Sa qual è il modo più facile per strappare l'applauso nei comizi? Chiedere alla gente se si sente tranquilla a parlare liberamente al telefono. Ogni volta è standing ovation».
Con il senno di poi, era proprio indispensabile lasciare? Si è sentito costretto dall'Europa, dai mercati?
«Le mie dimissioni non sono state affatto chieste dall'Europa. La crisi che stiamo vivendo è la più grave dal '29. L'unica strada per scongiurare questo scenario da incubo era mettere insieme maggioranza e opposizione. A causa della crisi, oggi non c'è un solo capo di governo in Europa che abbia la maggioranza dei consensi. Ricostruire la fiducia del popolo nei propri eletti e creare una nuova stagione di responsabilità è la grande sfida che nei prossimi anni impegnerà i leader politici in tutto il mondo, non solo in Italia».

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