martedì 29 novembre 2011

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Mafia, scoperta la nuova Cupola di Palermo
i boss puntavano agli affari di Zamparini


La Procura distrettuale antimafia dispone il fermo di 36 persone: in manette i capi dei tre mandamenti più influenti di Cosa nostra. A Roma fermata Nunzia Graviano, la sorella dei boss di Brancaccio, che avrebbe gestito il tesoro della cosca. A Palermo, anche due insospettabili nelle fila dei clan: un ex presidente del movimento cristiano lavoratori, Calogero Di Stefano, e il gestore del bar dello stadio Barbera, Giovanni Li Causi, che avrebbe tentato di far infiltrare i boss negli affari del presidente del Palermo Maurizio Zamparini. Il boss Caporrimo in tribuna vip con i biglietti gratis

di SALVO PALAZZOLO
PALERMO - I nuovi capi delle famiglie mafiose di Palermo si riunivano in una delle sale trattenimento più note della città, Villa Pensabene. Facevano grandi pranzi, con l'immancabile antipasto di ostriche e panelle, intanto discutevano del futuro di Cosa nostra siciliana. Non immaginavano certo di essere pedinati e intercettati. E invece, adesso, c'è un lungo film che ritrae le ultime riunioni della Cupola mafiosa: gli uomini che avanzano sulla scena con aria sicura sono vecchi mafiosi appena usciti dal carcere, ma anche insospettabili, sono i rappresentanti dei tre mandamenti più autorevoli di Cosa nostra: Tommaso Natale, Brancaccio e Passo di Rigano. Questa notte, 36 fra capi e gregari sono stati fermati da polizia, carabinieri e guardia di finanza su ordine della Procura distrettuale antimafia di Palermo diretta da Francesco Messineo e coordinata dagli aggiunti Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci.
LE FOTO- Gli arrestati 1 / 2
- Gli incontri tra boss
- Il bacio sulle labbra
- I parenti alla Mobile


GUARDA / I video delle microspie
Nella parte occidentale della città, fra Tommaso Natale e Resuttana, comandava un boss tornato in libertà da appena un anno, Giulio Caporrimo: la domenica, era spesso nella tribuna Vip dello stadio Barbera, grazie ai biglietti che gli procurava un suo insospettabile fidato, il gestore del bar dello stadio, Giovanni Li Causi, arrestato pure lui. Secondo la ricostruzione dei carabinieri del Nucleo Investigativo, Li Causi avrebbe tentato di piazzare ditte vicine a Cosa nostra negli spazi espositivi del nuovo centro commerciale del presidente del Palermo Maurizio Zamparini, in corso di realizzazione. I boss puntavano anche a gestire i lavori del nuovo stadio: il cantiere deve essere ancora aperto, ma già i boss cercavano di mettere le mani sui subappalti.

Fra gli insospettabili del clan di Tommaso Natale, il nucleo speciale di polizia valutaria della Finanza ha scoperto anche un pensionato dell'Amat, l'azienda trasporti della città: Calogero Di Stefano è un ex responsabile del movimento cristiano lavoratori, come lo era stato un altro boss, l'architetto Giuseppe Liga, in carcere ormai da un anno. 

L'indagine su Tommaso Natale è stata coordinata dai pm Francesco Del Bene, Gaetano Paci, Annamaria Picozzi, Lia Sava e Marcello Viola. Caporrimo e il suo clan puntavano a realizzare un grande locale sul mare di Sferracavallo, e per questo avevano bisogno di diverse autorizzazioni amministrative. Sembra che fossero già riusciti a contattare alcuni politici per trovare le giuste raccomandazioni.

Il tesoro di Cosa nostra
C'era un manager d'eccezione a gestire il patrimonio milionario di una delle famiglie storiche di Cosa nostra siciliana: Nunzia Graviano, la sorella dei boss Filippo e Giuseppe, condannati per le stragi del 1992-1993 e rinchiusi al carcere duro. La sezione Criminalità organizzata della squadra mobile ha seguito alcuni mafiosi di Brancaccio fino a Roma, dove risiedeva Nunzia Graviano, in un'elegante palazzina di via Santa Maria Goretti 16: i boss avevano il compito di consegnare alla donna il denaro delle estorsiorni e quello proveniente dalla gestione del patrimonio immobiliare. Poi, ripartivano immeditamente per la Sicilia. 

A Palermo, gli eredi dei Graviano incontravano anche rappresentanti dell'ndrangheta specialisti nel traffico di droga, come Gioacchino Piromalli. E intanto, continuavano a fare la loro vita da insospettabili: Giuseppe Arduino, considerato al vertice del mandamento, era ufficialmente solo un fattorino dell'hotel San Paolo Palace, confiscato negli anni Novanta proprio ai fratelli Graviano. Altri esponenti del clan gestivano un bar fra i più noti della città, il bar Sofia, in via Mondini, traversa della centralissima via Libertà.

"Abbiamo colpito il nucleo storico di Cosa nostra palermitana, che continuava a gestire affari e a imporre estorsioni", dice il questore di Palermo, Nicola Zito. Il comandante provinciale dei carabinieri, il generale Teo Luzi, commenta: "L'associazione mafiosa continua a dimostrare grande capacità di riorganizzazione, nonostante gli arresti e i processi che si susseguono, ma lo Stato non ha abbassato la guardia nella lotta alla mafia".

Gli arrestati  
I carabinieri, coordinati dal tenente colonnello Paolo Piccinelli e dal maggiore Antonio Coppola, hanno arrestato con i finanzieri della Valutaria, diretti dal maggiore Pietro Vinco, 15 mafiosi di Tommaso Natale: oltre a Caporrimo, Di Stefano e Li Causi, le manette sono scattate per Marcello Coccellato, Ugo De Lisi, Giuseppe Enea, Fabio Gambino, Andrea Luparello, Vincenzo Di Blasi, Sandro Diele, Filippo Pagano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Giuseppe Serio, Antonino Vitamia.

I poliziotti della squadra mobile, coordinati da Maurizio Calvino e Nino De Santis, hanno fermato a Brancaccio 17 persone: oltre alla sorella dei Graviano, Cesare Lupo, Antonino Sacco, Giuseppe Arduino, Antonino Caserta, Matteo Scrima, Michelangelo Bruno, Girolamo Celesia, Pietro Asaro, Natale Bruno, Giovanni Torregrossa, Filippo Tutino, Alberto Raccuglia, Antonino Lauricella, Pietro Arduino, Salvatore Conigliaro e Antonino Mistretta. I provvedimenti di fermo portano la firma dei pm Francesca Mazzocco, Caterina Malagoli e Vania Contrafatto.

I carabinieri del Ros, diretti dal tenente colonnello Fabio Bottino, hanno fermato invece quattro esponenti del mandamento di Passo di Rigano: Giovanni Bosco, Alfonso Gambino, Ignazio Mannino e Matteo Inzerillo, tutti partecipanti al summit del febbraio scorso a Villa Pensabene.

L'ultimo giallo
Alcuni fotogrammi dell'incontro di febbraio ritraggono uno dei capi storici del mandamento di Santa Maria di Gesù, Giuseppe Calascibetta, a braccetto con gli altri capimafia. Ma poi deve essere accaduto qualcosa di grave, gli equilibri fra alcune famiglie di Cosa nostra si sono incrinati: il 19 settembre scorso, Calascibetta
è stato assassinato sotto casa sua.
 

(29 novembre 2011) © Riproduzione riservata

Crolla lo share del Tg1, stacco record Tg5

Crolla lo share del Tg1, stacco record Tg5 Minzolini: "Critiche? E' la fiera dell'ipocrisia"

 

Crolla lo share del Tg1, stacco record Tg5
Minzolini: "Critiche? E' la fiera dell'ipocrisia"

Poco più di quattro milioni di spettatori davanti all'edizione delle 20 di ieri e il 16% di share. Il notiziario dell'ammiraglia Mediaset al 20,41% con 5 milioni 295 mila spettatori. Mai un distacco così pesante. Idv, Pd, Fli, Api: "Il direttore si deve dimettere". Il cdr del tg: "Emergenza dovuta a una linea politica faziosa". Boom Tg3: l'edizione delle 19 quasi al 18%, il dato più alto dei tg Rai

ROMA - Dopo un calo di ascolti pressoché costante, ieri sera il Tg1 diretto da Augusto Minzolini è stato protagonista di un crollo: l'edizione delle 20 ha ottenuto uno share del 16% pari a 4 milioni 178 mila spettatori. Il confronto con il Tg5 è pesante: l'edizione delle 20 ha registrato uno share del 20,41% con 5 milioni 295 mila spettatori, quasi cinque punti in più rispetto al notiziario dell'ammiraglia Rai. Prima di oggi il distacco non era mai stato così pesante. Da registrare il buon risultato del Tg di La7: l'edizione delle 20 ha ottenuto il 6,23% di share media con oltre 1,6 milioni di telespettatori. Il cdr del Tg1: "Emergenza dovuta a una linea politica faziosa e schierata". Ma quel che più colpisce è il risultato del Tg3: l'edizione delle 19, con il 17, 69%, ha raggiunto lo share più alto di tutti i telegiornali nazionali della Rai della serata. Ottimo il risultato anche in termini di telespettatori: quasi 3 milioni e 700 mila. Buono il risultato dell'edizione delle 14.20 con il 12,91% e quasi 2 milioni e mezzo di telespettatori.

Le opposizioni commentano i dati d'ascolto chiedendo le dimissioni del direttore del Tg1. E la questione potrebbe tornare all'ordine del giorno il 6 dicembre, data in cui il giudice per le udienze preliminari Francesco Patrone dovrà decidere sull'autorizzazione a procedere nei confronti dello stesso Minzolini sulla
vicenda delle note spese 1 che lo vede coinvolto. "Mai vista una tale fiera dell'ipocrisia e della faziosità e tante strumentalizzazioni come in questa occasione. Sono anni che il giorno in cui RaiUno trasmette il Gran Premio del Brasile, con annesso l'inutile programma di commenti fine gara, il Tg1 perde la gara di ascolti con il Tg5 perché al posto del traino preserale L'eredità, ha un handicap preserale. C'è un grado di strumentalità elevato nei commenti negativi di oggi che puntano a creare le condizioni per rimuovere il sottoscritto per ragioni squisitamente politiche. Se vogliono - e pensano di riuscirci - lo facciano pure, io non me ne vado. Ma non accampino alibi che sono un'offesa al buon senso".

Il comitato di redazione del Tg1 si pronuncia con una nota diffusa alle agenzie di stampa. "Con Minzolini - si legge - il Tg1 ha perso credibilità e ora l'appello è ai vertici perché prendano provvedimenti immediati per il rilancio". Il cdr parla di "un delitto annunciato" né "si nasconde il problema del traino, la rete ci ha lasciato al 9%", ma il problema che il cdr denuncia "da sempre, inascoltato, è che ormai la principale edizione del principale tg pubblico si è attestata appena sopra il 20% (...) è ora che l'azienda ci ascolti e non nasconda più la testa sotto la sabbia. Quella del Tg1 è un'emergenza dovuta certo a una linea politica, più che editoriale, faziosa e schierata, impressa dal direttore Minzolini che ha fatto perdere al nostro tg una credibilità che deve essere assolutamente recuperata. Così come devono essere recuperate - continua il comunicato - professionalità importanti messe ai margini (...). Facciamo di nuovo appello al presidente e al direttore generale perché prendano provvedimenti immediati per rilanciare quello che vogliamo continui a essere il primo telegiornale italiano".

La notizia non sorprende. Dopo una stagione, quella passata, caratterizzata dalla perdita di spettatori oltre che dalle
polemiche su pluralismo e faziosità 2 del telegiornale diretto da Minzolini, già a luglio il direttore generale della Rai 3, Lorenza Lei, aveva chiesto una "riflessione comune" annunciando che sul tavolo del consiglio d'amministrazione che si sarebbe svolto pochi giorni dopo, alla metà del mese, la questione sarebbe stata esaminata a fondo. Un problema che in quella circostanza il presidente della Rai, Paolo Garimberti, aveva definito "molto serio", animando una polemica con lo stesso Minzolini il quale aveva replicato che Garimberti avrebbe fatto meglio "a occuparsi di tutta RaiUno", citando un calo complessivo di ascolti per la Rete.

Le reazioni non si fanno attendere. "Da tempo immemorabile denuncio la situazione disastrosa in cui versa quella che una volta era la testata 'ammiraglia' della tv italiana, pubblica e privata - commenta il consigliere d'amministrazione Rai, Nino Rizzo Nervo - ormai sull'orlo di una crisi senza ritorno. Sinora il vertice Rai si è cucito gli occhi, ma spero ancora in un sussulto di dignità e orgoglio aziendali". Non parla di crisi di ascolti ma di "tracollo" il senatore Pd Vincenzo Vita, che nei dati ravvisa "il manifesto del definitivo disastro di quella che fu la più importante testata della tv italiana" e per il quale "si tratta di intervenire sul problema della direzione, che non può ritenersi né estranea né incolpevole".

"Squadra che perde si cambia", è il monito dell'Italia dei Valori. Il distacco record da parte del Tg5, osserva il capogruppo in commissione di Vigilanza Rai, Pancho Pardi, "è l'emblema della gestione fallimentare del direttore Minzolini: un'emorragia che ha raggiunto livelli senza precedenti e che impone le sue immediate dimissioni" perché "gli utenti non hanno più voglia di ascoltare
notizie pilotate, omesse o edulcorate 4. I vertici Rai si attivino per invertire la rotta, sostituendo il direttorissimo con un professionista capace, indipendente ed equilibrato in grado di restituire credibilità al servizio pubblico".Un appello all'intervento dei vertici Rai anche da Riccardo Milana,senatore di Alleanza per l'Italia e altro componente della Vigilanza: "In caso contrario, le responsabilità non saranno solo del direttore". "Siamo stanchi di ripetere sempre la stessa cosa - aggiunge la deputata di Fli, e membro della Vigilanza Rai, Flavia Perina - ma dopo i dati sullo share del Tg1 non possiamo che tornare a chiedere un intervento dei vertici Rai sulla direzione del principale telegiornale della tv pubblica, visto che Minzolini di dimettersi non sembra averne proprio voglia". "Nessuna riforma sarà credibile se prima la Rai non sarà in grado di dare una risposta al caso - scrive in un comunicato il segretario dell'Usigrai Carlo Verna - voltare subito, senza attendere un giorno in più, una delle pagine più nere del servizio pubblico radiotelevisivo è ineludibile".

Difende Minzolini il capogruppo Pdl in Vigilanza Alessio Butti, "senza traino ieri il Tg1 è partito con uno share del 9% - osserva - buttarla in politica è fuori luogo, significa voler ridurre il pluralismo delle voci". Mentre il consigliere Rai Antonio Verro aggiunge che "le polemiche relative al Tg1 sono del tutto strumentali e frutto di mere logiche politiche. Agli occhi più attenti non sfugge che il calo è stato causato dai bassissimi ascolti del programma che l'ha preceduto. In altre aziende televisive, oltre alle scuse del caso, ci sarebbero stati anche i complimenti per un direttore e una redazione che hanno comunque risollevato gli ascolti pur partendo da una situazione tanto svantaggiata. Ma sappiamo bene, purtroppo, che la politica e chi gli fa eco spesso non ragionano guardando i dati e i numeri".
 

(28 novembre 2011)