venerdì 29 novembre 2013

ANCHE L'EUROPA COMINCIAVA AD AVERNE ABBASTANZA

 

Vorremmo dire «clamoroso», ma non è così perché sapevamo da tempo, e lo abbiamo più volte scritto, che non solo in Italia ma anche dall’estero arrivavano pesanti pressioni per far fuori Silvio Berlusconi. L’ultima prova, che conferma la volontà di rovesciare un governo democraticamente eletto, la rivela l’ex premier spagnolo Luis Zapatero, che nel libro El dilema (Il dilemma), presentato martedì a Madrid, porta alla luce inediti retroscena sulla crisi che minacciò di spaccare l’Eurozona.

Il 3 e 4 novembre 2011 sono i giorni ad altissima tensione del vertice del G-20 a Cannes, sulla Costa Azzurra. Tutti gli occhi sono puntati su Italia e Spagna che, dopo la Grecia, sono diventate l’anello debole per la tenuta dell’euro. Il presidente americano Barack Obama e la cancelliera tedesca Angela Merkel mettono alle corde Berlusconi e Zapatero, cercando di imporre all’Italia e alla Spagna gli aiuti del Fondo monetario internazionale. I due premier resistono, consapevoli che il salvataggio da parte del Fmi avrebbe significato accettare condizioni capestro e cedere di fatto la sovranità a Bruxelles, com’era già accaduto con Grecia, Portogallo e Cipro. Ma la Germania con gli altri Paesi nordici, impauriti dagli attacchi speculativi dei mercati, considerano il vertice di Cannes decisivo e vogliono risultati a qualsiasi costo. Le pressioni sono altissime.

zapate1Zapatero descrive la cena del 3 novembre, con il tavolo «piccolo e rettangolare per favorire la vicinanza e un clima di fiducia». Ma l’atmosfera è esplosiva. «Nei corridoi si parlava di Mario Monti», rivela il premier spagnolo. Già, Monti. Che solo una settimana dopo sarà nominato senatore a vita da Napolitano e che il 12 novembre diventerà premier al posto di Berlusconi. Il piano era già congegnato, con il Quirinale pronto a soggiacere ai desiderata dei mercati e di Berlino.

La Merkel domanda a Zapatero se sia disponibile «a chiedere una linea di credito preventiva di 50 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale, mentre altri 85 sarebbero andati all’Italia. La mia risposta fu diretta e chiara: “no”», scrive l’ex premier spagnolo. Allora i leader presenti concentrano le pressioni sul governo italiano perché chieda il salvataggio, sperando di arginare così la crisi dell’euro.

«C’era un ambiente estremamente critico verso il governo italiano», ricorda Zapatero, descrivendo la folle corsa dello spread e l’impossibilità da parte del nostro Paese di finanziare il debito con tassi che sfiorano il 6,5 per cento. Insomma, i leader del G-20 sono terrorizzati dai mercati e temono che il contagio possa estendersi a Paesi europei come la Francia se non prendono il toro per le corna. Il toro in questo caso è l’Italia.

«Momenti di tensione, seri rimproveri, invocazioni storiche, perfino invettive sul ruolo degli alleati dopo la seconda guerra mondiale…»,caratterizzano il vertice. «Davanti a questo attacco – racconta l’ex leader socialista spagnolo – ricordo la strenua difesa, un catenaccio in piena regola» di Berlusconi e del ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

«Entrambi allontanano il pallone dall’area, con gli argomenti più tecnici Tremonti o con le invocazioni più domestiche di Berlusconi», che sottolinea la capacità di risparmio degli italiani. «Mi è rimasta impressa una frase che Tremonti ripeteva: conosco modi migliori di suicidio». Alla fine si raggiunge un compromesso, con Berlusconi che accetta la supervisione del Fmi ma non il salvataggio. Ma tutto ciò costerà caro al Cavaliere. «È un fatto – sostiene Zapatero – che da lì a poco ebbe effetti importantissimi sull’esecutivo italiano, con le dimissioni di Berlusconi, dopo l’approvazione della Finanziaria con le misure di austerità richieste dall’Unione europea, e il successivo incarico al nuovo governo tecnico guidato da Mario Monti». Un governo, ora sappiamo con certezza, eletto da leader stranieri nei corridoi di Cannes e non dalla volontà popolare degli italiani. Fonte


L'EUROPA NON FORNIRA' SALVACONDOTTI. IN BASE ALLA DIRETTIVA 109 DEL 1993



Strasburgo addio: la salvezza per il Cavaliere non potrà venire dal Parlamento europeo, basta leggere i regolamenti. Le voci – rilanciate oggi da La Stampa - di un Berlusconi alla ricerca di un'immunità targata Ue da trovare lontano da casa, candidandosi in un altro Stato membro, sono quello che sono, appunto voci. La direttiva 109 del 1993, poi emendata nel 2006, sull'eleggibilità alle elezioni europee dei cittadini Ue residenti in un altro Stato membro dice infatti chiaro e tondo che che ogni cittadino non più eleggibile nel suo paese di origine, com'è il caso di Berlusconi in Italia, “è escluso dall'esercizio di questo diritto nello Stato membro di residenza in occasione delle elezioni al Parlamento europeo”.

In sostanza anche se il Cavaliere riuscisse a prendere la residenza in quattro e quattr'otto in un altro paese Ue, arrivasse a presentarsi candidato alle elezioni del 22-25 maggio prossimi e finisse pure per essere eletto al Parlamento Ue sarebbe comunque perseguitato dalla Severino e dal marchio di ineleggibilità. Bye bye Strasburgo quindi, ed addio anche al rassicurante salvagente dato dall'immunità europea, la stessa che nel 2001 l'aveva salvato dal giudice spagnolo Garzon che lo voleva coinvolgere per il caso Telecinco.

Allora il Cavaliere dribblò la legge grazie al seggio comunitario (anche se in realtà al Parlamento di Bruxelles e Strasburgo si vedeva assai poco) e sfruttando anche la sponda di una passiva Nicole Fontaine, allora Presidente del Parlamento Ue, che insabbiò la richiesta di sollevare l'immunità arrivata da Madrid.

Ora il lido comunitario svanisce ancor prima di poterci mettere piede anche se questa idea, lanciata nell'immediata post-decadenza, non è la prima volta che viene a galla nelle ultime settimane. Già a metà settembre era balenata l'ipotesi Estonia, con l'amico immobiliarista Ernesto Preatoni, conosciuto come il Gianni Agnelli estone, che si era dato da fare per trovare una via baltica che portasse a Strasburgo. Ma l'idea era morta quasi sul nascere, anche perché bisognava trovare un partito disponibile ad accogliere il Cavaliere e l'operazione non è poi così semplice come potrebbe apparire a prima vista. Sempre da quelle parti, in Lettonia, si era candidato per le europee del 2009 Giulietto Chiesa, difendendo i colori della minoranza russa.

Ma Chiesa, regolamento alla mano, poteva candidarsi. E qui si entra nel secondo aspetto della questione, l'opportunità politica. Berlusconi ricreando una Forza Italia da trincea ha messo mezzo piede fuori dal PPE e la sua richiesta di trovare un partito amico all'estero – al di là della bocciatura da regolamento – non farebbe altro che portarlo ancora più fuori dai popolari. “Anche solo parlare di farsi aiutare da un altro partito all'estero è una notizia che, al di là della sua non-fattibilità, non è vista bene”, assicura un'alta fonte del PPE, “un'idea che di certo non aiuterebbe l'ingresso di Forza Italia nel nostro partito”.